Sicilia tra leggenda e storia

Secondo Tucidide (lo storico Ateniese esiliato in Sicilia autore di una Storia della Sicilia che si ferma al 435 a.C.) i primi abitatori dell’isola nell’anno 1000 a.C. furono gli Elimi, i Sicani e i Siculi che gli diedero anche il nome; ma già da oltre un millennio la Sicilia era abitata da popolazioni che risentivano degli influssi delle civiltà fenicia e cretese.

Date salienti della storia Siciliana:

580 a.C Scontri fra Greci e Fenici (Elimi di Segesta, di Erice, di Entella e di Alicia).
510 a.C. Il dorico Dorieo, figlio di Anaxandridas, re di Sparta attacca gli Elleni.
488 a.C Signoria di Terona ad Agrigento.
485 a.C Signoria di Gelone a Siracusa.
480 a.C Battaglia di Himera tra Greci e Punici.
479 a.C -settembre- Vittoria d’Imera.
476 a.C Catana cade nel dominio siracusano.
476 a.C Gerone I succede a Gelone.
474 a.C Vittoria navale di Cuma contro gli Etruschi.
466 a.C Morte di Gerone l. Il governo di Siracusa passa ai democratici.
460 a.C Ducezio viene eletto re dei Siculi.
450 a.C Sconfitta dei Siculi a Nomai (città sicana non identificata: forse in territorio di Agrigento) e a Motyon (forse l’attuale Vassallaggi, a nord-est di Agrigento) e deportazione a Corinto di re Ducezio.
450 a.C Pace di Gela fra le città siceliote, Siracusa in testa, e Atene.
416 a.C La prima spedizione di Atene in Sicilia su intervento degli Elimi.
413 a.C Seconda spedizione di Atene sotto il comando di Demostene, Eurimedonte e Nicia contro Siracusa
410 a.C Invasione cartaginese:distruzione Punica di Selinunte e di Imera.
404 a.C Accordi di pace tra Siracusa e Atene
398 a.C Distruzione di Mozia
289 a.C Morte di Dionisio il Grande
262 a.C Saccheggio romano di Agrigento
241 a.C Battaglia delle Egadi
135 a.C Le Guerre servili
75 a.C M. Tullio Cicerone pretore di Sicilia
74 a.C Ruberie di Caio Verre
36 a.C Conquista della Sicilia da parte di C. Ottaviano
28 a.C La popolazione della Sicilia è di 700.000 abitanti 27 x km2

Breve storia della Sicilia

LA SICILIA è da sempre un mondo a sè : un mondo composito nel quale popoli di razza, religione e lingua diversa si sono scontrati ed incontrati, lasciando nell’isola una stratificazione di presenze quanto mai significative. Dalla preistoria ad oggi si può dire che questa facies non ha subito modificazioni importanti. L’avvicendamento o la compresenza delle maggiori forze politiche operanti nell’area del Mediterraneo ha movimentato la storia della Sicilia, costruendole un variegato e singolare apporto e scambio di civiltà che ancora oggi ne connota la società ed i monumenti. Dai primi abitatori, Sicani e Siculi, di incerta provenienza, ai Greci ed ai Fenici, fra i quali stava costretta la popolazione Indigena degli Elimi, le coordinate della storia universale nell’isola trovarono un insostituibile punto d’incontro.

L’espansione greca che seguì una direttrice più settentrionale, approdò sulle coste orientali dell’isola e fondò colonie, come Catania, Siracusa, Gela ed Agrigento, che svilupparono una propria politica ed una propria cultura.

I tiranni di Siracusa, soprattutto al tempo di Dionigi il Vecchio, tentarono la conquista di tutta l’isola, confrontandosi con l’altra potenza mediorientale, la Punica, che da Cartagine aveva consolidato la sua presenza nell’isola, con gli insediamenti di Mozia, Lilibeo, Erice, Panormo e Solunto. Gli scontri ai confini delle rispettive aree d’influenza si ebbero a Selinunte, al Sud, e ad Himera al nord (480 a.C.)

Nella realtà la presenza greco-cartaginese perdurò sino a quando sul Mediterraneo si affacciò Roma. Furono i Romani che sottomisero le colonie greche e che con le guerre puniche acquisirono anche quella cartaginese. Da allora l’isola seguì le vicende della crescita della potenza di Roma, divenendone una provincia indispensabile per la politica e per l’economia della Repubblica e dell’Impero. Sebbene i Romani legassero la loro origine alla Sicilia (in quanto, secondo Virgilio, il troiano Enea, prima di giungere sulle coste del Lazio qui sarebbe approdato, e qui avrebbe sacrificato agli dei), l’isola subì, sotto il comando di pretori come Verre, denunciati da Cicerone, furono, fra il II ed il I sec. a.C., un periodo di sfruttamento e di rivolte di schiavi.

Nemmeno edifici sacri quali il tempio di Demetra ad Enna o il tempio di Venere sul promontorio di Erice sfuggirono al saccheggio. Benché danneggiata dalle due guerre servili la Sicilia fu assai prospera sia durante l’età repubblicana, quando fu importantissima come granaio di Roma, sia durante l’impero quando godette della cittadinanza latina accordatale da Cesare.

Fu proprio nella tarda età imperiale che vennero eretti i teatri romani di Catania, e Taormina e le ville lussuose che si trovano a Piazza Armerina, Montagnareale, S.Biagio.

I romani lasciarono il ricordo della loro dominazione nelle strade (Tabula Pentigeriana), che create inizialmente per scopi militari, per spostare rapidamente le legioni, vennero usate anche per il commercio e i viaggi. Lungo le strade, a circa 20km. l’uno dall’altro, vi erano alberghi per ristorarsi, passare la notte, ripararsi dalle intemperie, riparare gli animali. Vengono ricordati anche per le coltivazioni: piantarono in grande abbondanza ulivi, fichi, viti che davano un vino eccellente.

Quando l’Impero declinò e sull’Occidente europeo si abbatterono i barbari, l’isola risentì subito le ripercussioni della trasformazione radicale che maturava in quella realtà nuova, la Romània, erede della Romanità.

Il momento barbarico della Sicilia va dal 440 al 535: da quando cioè, il capo dei Vàndali, Genserico, occupata la provincia d’Africa e padrone di una flotta, impose la sua potenza egemonica in tutto il Mediterraneo occidentale.

La Sicilia, pertanto, rimase sotto il dominio vandalico, sino al 476, quando divenuto Odoacre re dell’Italia, dopo aver deposto l’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo, il re dei Vàndali gli cedette a certe condizioni la Sicilia, ad eccezione dell’enclave di Lilibeo. Dopo l’esperienza odoacriana, l’isola passò in mano ai Goti, quando Teodorico il Grande, subentrò al re degli Eruli nel regno barbarico d’Italia (495). E si può ben dire che la Sicilia barbarica visse un momento di grande tranquillità e di certa prosperità.

Questa venne interrotta, allorquando Giustiniano, imperatore d’Oriente, tentò di ricostituire l’integrità territoriale dell’antico “imperium romanum”.

Conquistato, senza grandi difficoltà l’impero vandalico d’Africa (534), il generale di Giustiniano, Belisario, occupò la Sicilia, che gli serviva come base per la riconquista della penisola italiana. La campagna militare per l’occupazione di tutta l’isola fu quanto mai rapida (535), dato che erano poche le guarnigioni gotiche e, comunque, non in grado di contrastare l’avanzata del corpo di spedizione bizantino. Il processo di bizantinizzazione permeò di apporti orientali la vita isolana, consentendo però una sopravvivenza dell’elemento latino indigeno.

Cultori e letterati prosperarono in Sicilia, come i papi Agatone, Leone e Sergio, e Giorgio di Siracusa. Una cultura che continuò a vivere anche dopo l’occupazione musulmana dell’isola e che ebbe a rappresentanti di rilievo gli innografi San Metodio e San Giuseppe l’Innografo.

L’827 segnò il momento dello sbarco musulmano a Mazara, che preluse alla conquista di tutta l’isola, in pratica sempre più lontana dalla vita dell’Impero d’Oriente e ormai ritenuta terra d’esilio e di deportazione. Nell’831 cade Palermo, ncll’865 Siracusa e solo molto più tardi le ultime roccaforti della resistenza bizantina. La conquista araba anche se cruenta, ebbe per l’isola degli aspetti positivi. Sotto di essa la Sicilia conobbe grande fortuna.

Gli Arabi incrementarono notevolmente l’agricoltura arricchendola di nuovi metodi e di nuove forme. Oggi siamo abituati a guardare alla Sicilia come alla terra delle arance e dei limoni, ma furono gli Arabi i primi a introdurre queste colture e con essi frutti squisiti come la pesca, l’albicocca, ortaggi delicati come gli asparagi ed i carciofi; altre coltivazioni ancora come il cotone, il carrubo, il riso, il pistacchio, le melanzane. Persino il leggiadro e odorosissimo gelsomino da cui ancora oggi si ricava l’essenza per i profumi, e le spezie come lo zafferano, il garofano, la cannella, lo zenzero, sono stati importati dagli Arabi. Insegnarono a produrre le paste alimentari, il sorbetto, i dolci, il pane con la “ciciulena” sopra ed il “tirruni” fatto di mandorle e zucchero.

Le loro maestranze portarono una nuova tecnica nella costruzione delle case, svilupparono l’irrigazione introducendo un nuovo metodo per sollevare l’acqua dai pozzi e irrigare cosi i campi “a sena” (parola araba), costruirono numerosi mulini adibiti alla macinazione del grano.

I Siciliani però subirono la dominazione araba ma non l’accettarono, ne’ vi si rassegnarono mai come lo provano le cinque successive insurrezioni (849, 912, 936, 989, 1038) che fecero traballare la potenza musulmana. Nel sentimento e nel linguaggio popolare gli Arabi detti “Saraceni”, dal nome di una loro tribù, sono rimasti come nemici, ne è prova che la lotta vittoriosa contro i Saraceni è ancora il tema preferito nelle popolarissime pitture che ornano i carretti siciliani.

L’organizzazione dell’emirato fece centro su Palermo, che divenne la nuova capitale dell’isola soppiantando la vecchia Siracusa e venne ristrutturata in funzione anche di emporio commerciale. Le ripercussioni delle lotte interne, che dilaniavano il Maghreb, si ripercossero in Sicilia avviando un lento e mai più arrestato processo di destabilizzazione, che consentì, a metà del sec. XI, ai Normanni del Mezzogiorno d’Italia, di avere ragione della forte presenza musulmana nell’isola.

Il ritorno della Sicilia all’Occidente si ebbe con i Normanni, con quegli avventurieri che calati nell’Italia meridionale bizantina, si erano a poco a poco impadroniti della Puglia, della Basilicata, della Campania e della Calabria e che, con Roberto il Guiscardo tentarono di conquistare lo stesso impero orientale.

Nella fase della grande espansione normanna, per la Sicilia si concepì una precrociata che avrebbe scacciato gli infedeli musulmani dal centro del Mediterraneo. L’impresa condotta dal più giovane dei fratelli Altavilla, Ruggero, con l’appoggio del capo carismatico Roberto il Guiscardo, durò trenta anni (1061-1091). Con fasi alterne e con l’appoggio di Ibn Tymnah, alla fine i Normanni entrarono a Palermo (1071), che rimase capitale della contea.

Còmpito dei nuovi conquistatori fu quello di creare le strutture del nuovo Stato: amministrative, finanziarie, feudali, religiose, approfittando, anzi sfruttando le competenze delle varie etnie presenti nell’isola al momento della conquista.

L’età normanna in Sicilia significò un irripetibile momento magico, per le conquiste e per le creazioni artistiche e letterarie.

Politica e cultura convissero per il costante impegno mecenatico dei sovrani normanni, che con Ruggero II (1101-1154) avevano ottenuto anche l’incoronazione regia. Se in campo delle arti per l’epoca ruggeriana, primeggiano monumenti eccelsi, quali la Cappella Palatina Maredolce, le Cube, le Cattedrali di Palermo e di Cefalù, i successori di Ruggero II, Guglielmo I (1154 – 1166) e Guglielmo II (1166-1189) non furono da meno: la Zisa e la Cattedrale di Monreale, con il Chiostro benedettino, furono gli apporti più importanti. Nello stesso tempo, i grandi funzionari del nuovo Stato, come l’Ammiraglio Giorgio d’Antiochia e il primo ministro Maione da Bari, seguirono l’esempio dei loro sovrani e fondarono a proprie spese quei gioielli che sono le chiese di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta la Martorana, e San Cataldo.

In questo periodo in Sicilia si parlavano tre lingue, portatrici delle tre civiltà che l’avevano dominata: Greca, Araba, Latina, tanto che Palermo e’ detta “Urbs felix, populi dotata trilingui” (Pietro da Eboli); oltre queste lingue si vide spuntare il primo germe del “volgare eloquio” e la città’ divenne la culla della lingua italiana.

Il declino del regno normanno aprì le porte alle aspirazioni imperiali degli Svevi. Il matrimonio di Costanza D’Altavilla con Enrico VI, figlio dell’imperatore Federico I Barbarossa, consentì la discesa in Sicilia di Enrico, la sua incoronazione a Palermo e lo sterminio degli ultimi epigoni della dinastia normanna siciliana.

Ma il marito di Costanza non poté godersi a lungo il possesso del regno meridionale, essendo morto nel 1197, in una campagna contro i ribelli isolani.

L’età sveva trovò il suo grande esponente in Federico II (1196-1250), nato da Costanza ed Enrico. Il nuovo re di Sicilia, che nel 1220 venne eletto imperatore, fece dell’isola la base della sua politica imperiale.

Alla sua morte (1250), il regno meridionale passò al figlio Corrado IV e, nel 1254, a Manfredi. L’età sveva ebbe sviluppi impensabili sul piano della giurisprudenza, della letteratura in latino, delle scienze sperimentali e della poesia in volgare.

Alla sua morte, esecrata dal papato e dai suoi avversari europei, la corona venne data a Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX il Santo, re di Francia. E col pretendente francese si confrontarono prima Manfredi, che venne eliminato nella battaglia di Benevento (1266) e poi il piccolo Corradino, sconfitto a Tagliacozzo e fatto decapitare dall’Angiomo (1268). Ma la dominazione angioina nel regno di Sicilia, che avrebbe dovuto spianare a Carlo I la via per la conquista dell’Impero d’Oriente, fu mal sopportata dai Siciliani, che non seppero adattarsi all’arroganza dei nuovi signori. Padrone assoluto di Napoli e della Sicilia comincio’ a governare dispoticamente, mentre decadeva Palermo, già splendida capitale normanna e sveva, decadeva l’intera Sicilia abbandonata all’anarchismo agrario dei baroni, i quali gettavano le basi di uno statu quo che si sarebbe poi rispecchiato nel regno borbonico e nel quale può forse vedersi l’inizio di quella che dopo il 1861 e’ stata chiamata “questione meridionale”.

La rivoluzione del Vespro, scoppiata a Palermo il 31 agosto 1282, determinò ben presto lo sterminio dei francesi e la cacciata degli Angioini dall’isola. Al proprio sovrano i Siciliani scelsero Pietro III d’Aragona, che aveva sposato Costanza figlia di Manfredi.

Con questa scelta si aprì un lungo periodo di guerre continue col regno angioino di Napoli e, alla fine, la guerra civile, scatenata nell’isola dalle grandi famiglie baronali, quali i Chiaramonte, Ventimiglia, Rosso, Aragona, Peralta, ecc.

Il processo di declino del regno aragonese di Sicilia che investe i regni di Pietro II (1337-1342), di Ludovico (1342-1355) e di Federico IV (1355-1377), trovò il suo sbocco in una riconquista aragonese dell’isola, che venne realizzata da Martino l’Umano, per conto del figlio, anche lui di nome Martino, al quale era stata data in moglie la regina Maria, erede del quarto Federico.

Martino il Giovane (1392-1409) ebbe a sostenere una lunga lotta contro l’indomabile baronaggio siciliano ed, alla fine, perdette la vita in Sardegna, dove si era recato, per conto del padre re d’Aragona, a domare un’ennesima sollevazione dei Sardi. Era rimasta in Sicilia a tenere il potere come vicaria, Bianca di Navarra, seconda moglie del giovane Martino. E contro di lei, alla morte di Martino il Vecchio, che era succeduto al figlio in Sicilia (1410), si era scatenato il grande ammiraglio del regno, Bernardo Cabrera.

La nuova guerra civile, che travagliò l’isola per alcuni anni, fece scadere il regno a viceregno, quando sul trono d’Aragona venne eletto, a Caspe, Ferdinando d’Antequera. Bianca venne richiamata alla corte iberica ed in Sicilia fu inviato come viceré Giovanni duca di Penafiel. Per evitare pericoli autonomistici dei Siciliani, Alfonso V il Magnanimo (1416-1450) diede inizio ad una serie di viceré scelti da lui con oculatezza. Re Alfonso, che fu in Sicilia nel 1320, nel suo viaggio alla conquista del regno napoletano, seppe sfruttare con spregiudicatezza le risorse finanziarie dell’isola in favore della sua politica mediterranea e, soprattutto, di quella italiana. Con la morte del Magnanimo si aprì l’epoca spagnola, dato che il re napoletano volle che i due regni di Sicilia venissero divisi e che quello isolano fosse unito alla corona d’Aragona. Era anche il momento in cui maturava la grande Spagna dei re Cattolici; era l’età delle grandi scoperte geografiche e scientifiche; era il tempo in cui, con Maometto II ed i suoi successori, la potenza turca partiva alla conquista dell’Occidente. In questi nuovi equilibri politico-militari, la Sicilia venne ad assumere una posizione strategica di grande rilievo, considerata come antemurale contro l’aggressione ottomana.

In una tale ottica la storia di Sicilia del primo Cinquecento venne adeguata alla nuova funzione di punto di forza sia contro i Turchi che contro i pirati barbareschi. Le fortificazioni che la cinsero, torri e castelli, l’aumento delle guarnigioni e la scelta dei viceré obbedivano a questa fondamentale istanza. Non a caso nel 1535 Carlo V desiderò visitare l’isola ed entrare trionfalmente a Palermo.

Nel Seicento nella Sicilia spagnola, che vide il trionfo dell’effimero in campo artistico, si aggravò la situazione economica, dato che le carestie resero deserte le campagne e la fame dilagò per le grandi città. Nell’insieme la dominazione spagnola non fu favorevole alla Sicilia sacrificata al rigido assolutismo di sovrani lontani, allo sfruttamento e all’insipienza del baronato locale, coinvolta direttamente dalla grande depressione economica del XVIII secolo e percorsa a più’ riprese da rivolte popolari. Una sollevazione si ebbe a Messina (1646), ma diversa ampiezza e risonanza ebbe quella scoppiata a Palermo l’anno successivo. La folla assalì il palazzo di città, liberò i prigionieri della vicaria e compì altri eccessi. Se questa rivolta poté essere domata dal viceré Los Velez, che fece impiccare il capo, Nino La Pelosa, maggior successo ebbe quella, che immediatamente seguì, delle maestranze artigiane palermitane, capeggiata da Giuseppe D’Alesi. Questi, dopo la cacciata del viceré, fu eletto capitano generale e tentò l’instaurazione di un governo popolare. Fece abolire privilegi e gabelle e fece eleggere tre giurati popolani e tre nobili. Ma Giuseppe D’Alesi venne ucciso il 22 agosto 1647, abbandonato da tutti.

Il trattato di Utrecht (1713) assegnò la Sicilia al duca di Savoia Vittorio Amedeo II, che in quello stesso anno raggiunse Palermo e si fece votare, nel 1714, due donativi dal parlamento, per poi ripartire per il Piemonte, carico di beni ed accompagnato da uomini di cultura, come l’architello Juvara. Lasciò come viceré il conte Maffei, che dovette affrontare la campagna del cardinale Alberoni, che voleva riportare con la forza la Sicilia sotto la Spagna. La spedizione del 1718 fece ritirare i savoiardi nell’interno dell’isola. Ma il trattato dell’Aia (1720), voluto da Austriaci ed Inglesi, portò l’isola sotto Carlo VI d’Austria, che nominò viceré il duca di Monteleone. Dopo i Savoia, gli Austriaci continuarono ad impoverire la Sicilia, con un eccessivo fiscalismo che fece rimpiangere gli Spagnoli. Filippo V di Spagna investì Carlo del regno delle due Sicilie. E Carlo venne nell’isola facendosi incoronare a Palermo (30 giugno 1735).

Con l’incoronazione a Palermo di Carlo di Borbone, il 30 giugno 1735, si celebrò l’ultima incoronazione di un re in Sicilia. Le prerogative di un Regno di Sicilia, inteso come “Stato Siciliano” non sopravviveranno più a lungo.

Carlo regnò da Napoli fino al 1759, anno nel quale salì sul trono di Spagna. Gli successe il figlio Ferdinando che aveva appena nove anni, sotto la tutela del ministro Bernardo Tanucci che presiedeva un “consiglio” del quale facevano parte alcuni siciliani.

In questo periodo in Sicilia si viveva il cosiddetto “illuminismo borbonico”. Due viceré abbastanza “illuminati”, Domenico Caracciolo e Francesco D’Aquino, introdussero in Sicilia molte innovazioni sociali, economiche e culturali. La Sicilia, però, non tollerava che il re risiedesse a Napoli e inoltre reclamava la propria indipendenza.

Il 20 maggio 1795 venne decapitato Francesco Paolo Di Blasi, un famoso giurista che con altri tre indipendentisti, pure condannati a morte, questi tramite impiccagione, avevano tramato per creare una Repubblica Siciliana libera e indipendente. I martiri siciliani avevano fatto propri alcuni principi della Rivoluzione Francese, ma non avevano avuto alcun collegamento con questa ed avevano agito autonomamente. Appena tre anni dopo arrivò a Palermo, nel giorno di Natale del 1798, Ferdinando con la propria famiglia, le truppe francesi guidate dal gen. Championett lo avevano, infatti, scacciato da Napoli, occupandone il regno continentale.

I Siciliani lo accolsero calorosamente e con grande generosità, anche perché pensarono che il Regno di Sicilia avrebbe avuto ora il proprio Re “in sede”. I Siciliani gli finanziarono la flotta e tre reggimenti di fanteria. Gli fecero anche molte donazioni. Gli Inglesi con l’ammiraglio Nelson ed il cardinale Ruffo, nel 1802, consentirono a Ferdinando di tornare sul trono di Napoli; grande fu la delusione in Sicilia anche perché Ferdinando non dimostrò nessuna gratitudine per l’ospitalità e gli appoggi ricevuti.

Nel 1806, questa volta sotto l’impeto degli eserciti napoleonici, Ferdinando si rifugiò nuovamente in Sicilia mentre a Napoli si insediavano prima Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, e subito dopo Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore. I siciliani, però, furono meno ospitali e meno generosi che non nella volta precedente. II Parlamento Siciliano fece rispettare le proprie prerogative e fece pesare nei confronti dell’Impero Britannico il ruolo che la Sicilia aveva nei confronti di Napoleone. Il grande Corso era il pericolo maggiore e ormai dominava incontrastato in tutta l’Italia attraverso una rete di Stati-fantoccio. Il Piemonte era stato addirittura incorporato alla Francia.

Lord Bentinck, ministro plenipotenziario inglese, perora la costituzione del 1812, che avrebbe rinnovato lo stato, messo la Sicilia all’avanguardia degli Stati Europei, ridimensionato il ruolo di Ferdinando, che venne relegato a Ficuna. Viene cosi’ incoraggiata la formazione di una flotta da guerra siciliana e viene formato un esercito siciliano. Lord Bentinck fu ampiamente ripagato perché i siciliani dimostrarono di saper ben combattere contro Napoleone. I Franco-ltaliani, infatti, non riuscirono mai a compiere uno sbarco in Sicilia nonostante i ripetuti tentativi del Murat. Le navi siciliane si spinsero fino all’alto Tirreno insidiando il porto di Genova. Livorno e l’isola d’Elba furono occupate dai siciliani. Dopo il congresso di Vienna e la Restaurazione, che fecero tornare sui loro troni i sovrani spodestati, Ferdinando di Borbone, che e’ IV di Napoli e III di Sicilia, istituisce il Regno delle Due Sicilie. E’ l’8 dicembre 1816. La Sicilia perde così il suo Parlamento e la stessa costituzione del 1812.

La dominazione borbonica fu triste per l’isola (eccetto il regno di Carlo V il riformatore), per l’inettitudine e la perversità del re che nulla aveva capito della vasta importanza che essa aveva assunto nella storia.

Alla restaurazione Ferdinando abolì’ ogni forma di autonomia dell’isola. Il regime poliziesco, il disprezzo verso la cultura (irrideva i letterati come “pennaioli”) avevano diffuso un grave malcontento..

La lotta per l’indipendenza diventa per i siciliani un obiettivo primario. Lo dimostra la rivoluzione scoppiata a Palermo il 15 luglio 1820 che sarà violentissima anche se non riesce ad espandersi in tutta la Sicilia. Gli ultimi focolai di rivolta verranno spenti nel 1826 con l’intervento diretto delle truppe austriache. La rivoluzione del 1820 fu osteggiata sia dai Borboni sia dai liberali di Napoli, appunto perché più che “liberale” era indipendentista, anzi separatista.

Altri moti vi furono nel 1837. Ma senza dubbio la più grande rivoluzione, estesasi a tutta la Sicilia, fu quella preannunziata, scoppiata a Palermo il 12 gennaio 1848. Suo leader carismatico fu Ruggero Settimo. La rivoluzione del 1848 fu definita “federalista” perché la Sicilia dichiarava di volersi federare con altri stati italiani.

Non fu affatto una rivoluzione “unitaria”, come poi si cercò di farla credere. L’indipendenza della Sicilia rimaneva infatti l’obiettivo prioritario, come si evince dall’articolo 2 del Titolo I dello ” Statuto Costituzionale del Regno di Sicilia” approvato dal parlamento siciliano: “LA SICILIA SARA’ SEMPRE STATO INDIPENDENTE” ed ancora: “II re dei Siciliani non potrà governare su verun altro paese. Ciò avvenendo, sarà decaduto ipso facto. La sola accettazione di un altro principato o governo lo farà anche incorrere ipso facto nella decadenza”.

Il 15 maggio 1849, superate le ultime eroiche resistenze, le truppe borboniche riprendono possesso della Sicilia. II sogno indipendentista sembra per il momento infranto, Il 1848 com’è noto, era stato l’anno delle rivoluzioni in tutta quanta l’Europa. In ogni singola realtà nazionale ovviamente esistevano motivazioni diverse. II fatto certo era che si affermavano le teorie liberali e che ovunque si contestavano l’ordinamento reazionario e le restaurazioni scaturite dal congresso di Vienna.

Erano, quindi, obiettivamente in crisi i principi sui quali era basata la “Santa Alleanza”, che com’è noto era stata stipulata nel 1815 fra Austria, Prussia e Russia per garantirsi che l’ordine politico e territoriale scaturito dal congresso di Vienna non venisse più sconvolto, né dall’interno né dall’esterno. L’Inghilterra, pur essendo stata una delle protagoniste principali della lotta contro l’espansionismo francese, non aderì alla Santa Alleanza. Si andava delineando, cosi’, una differenziazione, che sarebbe nel tempo diventata aperta ostilità, fra la politica dell’Impero britannico e degli Stati che componevano la Santa Alleanza.

CAVOUR

Nel 1849 un intervento “moderatore” inglese sull’Austria impedì che il generale Radetsky invadesse il Piemonte dopo la battaglia di Novara ed indusse l’Austria a contentarsi di una semplice “indennità di guerra” pur se di notevole importo per l’epoca: 75 milioni.

Londra inoltre era diventata la città dove trovavano maggiore ospitalità gli “esuli” italiani. L’accortezza diplomatica del Cavour, asseconda le mire espansionistiche contro l’Imperatore Russo. In questo quadro rientra la guerra di Crimea. II Piemonte partecipa alla guerra con l’Inghilterra e la Francia in favore della Turchia e contro lo Zar, che vorrebbe “liberare” le popolazioni cristiane e nel contempo trovare uno sbocco “geografico” e politico verso il Mediterraneo.

I Borboni, intanto, intraprendono una serie di accordi commerciali proprio con la Russia. E’ troppo: l’Inghilterra rompe ogni indugio e centuplica i suoi sforzi per creare uno stato unitario che vada dalle Alpi al Mediterraneo per fermare per terra e per mare gli imperi dell’Europa continentale. In questo contesto si svolgerà la spedizione dei Mille, che avrà ovviamente una fortuna molto diversa da quelle, improvvisate e senza supporti stranieri, di Carlo Pisacane nel 1844 e dei fratelli Bandiera nel 1857.

Inutile precisare che, nel 1860, l’Inghilterra, o per meglio dire la Gran Bretagna, e’ la maggiore potenza del mondo, lo stato più industrializzato, più ricco, più moderno’, più efficiente. E’ la cosiddetta “età Vittoriana”, dal nome della regina Vittoria, che si avvale di governi e di primi ministri sempre all’altezza della situazione, nonostante i contrasti. La regina Vittoria, ad esempio, ritenne eccessivamente filo-italiana la politica del governo Palmerston-Russel, che tuttavia accettò.

Lo sbarco dei Mille a Marsala avvenne l’11 maggio 1860; viene enfatizzato dalla cultura ufficiale come un avvenimento radioso. Che abbia avuto un’importanza storica notevole non c’è dubbio. Sulla sua valutazione e sulla sua “letteratura” rimangono perplessità e contrasti. Anche sulla reale partecipazione del popolo siciliano all’impresa esistono pareri divergenti. Fondamentale per la riuscita dell’impresa furono le trame dei servizi segreti inglesi, della massoneria, della mafia e degli ufficiali borbonici. Componenti, queste, che vengono cancellate dai libri di testo scolastici e dalla cultura ufficiale.

GARIBALDI

Ma che sono insostituibili per comprendere la crisi successiva all’annessione della Sicilia, la qualità della classe siciliana e tante altre vicende. Al momento dello sbarco, a Marsala. solo la comunità inglese festeggia Garibaldi. Alla battaglia di Calatafimi Garibaldi combatte, in realtà, solamente contro il battaglione del maggiore borbonico Sforza. Mentre il gen. Landi, inetto e traditore, blocca migliaia di soldati meridionali ben armati e ben addestrati. Ed ordina allo stesso Sforza di ritirarsi consentendo ai Garibaldini di vincere una battaglia che già sembrava anche a loro irrimediabilmente persa. Analoghi episodi avvengono a Palermo, a Milazzo e via via in tutta la Sicilia ed in tutto il meridione d’Italia.

A questo punto ci sembra doveroso fare cenno ad alcune presenze straniere al servizio della spedizione dei Mille, anche queste spesso depennate dalla storia ufficiale e dai testi scolastici. Inglese è il colonnello Giovanni Dunn, cosi’ come inglesi sono i leggendari Peard, Forbes, Speeche (il cui nome Giuseppe Cesore Abba, non potendo sottacere, trasforma nell’italiano Specchi). Numerosi gli ufficiali ungheresi: Turr, Eber, Erbhardt, Tukory, Teloky, Magyarody. Figgelmesy, Czudafy, Frigyesy e Winklen. La legione ungherese divenne preziosa per l’occupazione della Sicilia e per tante battaglie. La “forza” dei “volontari” polacchi aveva due ufficiali superiori di spicco: Milbitz e Lauge. Fra i turchi spicca Kadir Bey. Fra i bavaresi ed i tedeschi di varia provenienza si deve ricordare Vvolff, al quale viene affidato il comando dei disertori tedeschi e svizzeri, già al servizio dei Borboni . . . E’ veramente triste fare questo elenco che potrebbe continuare a lungo.

Il 4 agosto 1860 le leggi del Regno d’Italia vengono estese anche alla Sicilia con conseguenze più disastrose di quelle dell’occupazione militare, in quanto l’ economia a base feudale e latifondista non fu in grado di risollevarsi in conseguenza dell’unificazione, venendo anzi a costituire una componente sostanziale della cosiddetta “questione meridionale” (di cui il brigantaggio dei primi anni dell’Unita’ fu un tragico preavviso).

. D’altra parte Garibaldi, a Salemi, il 14 maggio dello stesso anno, pochi giorni dopo lo sbarco, aveva assunto la dittatura in nome di “Vittorio Emanuele Re d’Italia”. L’immagine di un Garibaldi, democratico e repubblicano, rispettoso delle prerogative autonomiste dei siciliani, sarebbe stata costruita dopo e per altre esigenze.

Inutile, a questo punto, parlare del “plebiscito” o di altro. Significativa invece è la “rivoluzione” scoppiata a Palermo il 15 settembre 1866 che duro’ sette giorni e mezzo. La città venne bombardata dal mare e occorsero ben 40.000 soldati per domarne la resistenza, Migliaia i morti. . . dimenticati. Sommosse e disordini avvennero prima e dopo quella rivolta in tutta la Sicilia e saranno compagne di strada della grande crisi economica che seguì l’annessione.

L’emigrazione, sconosciuta prima del 1860, divenne un vero e proprio esodo di dimensioni bibliche. I Fasci dei Lavoratori Siciliani, sorti come movimento sindacale e socialista, finiranno con il colorarsi di sicilianismo e di autonomismo, come dimostra il “memorandum” consegnato al commissario regio Giovanni Codronchi nel 1896, nel quale si chiedeva autonomia per la Sicilia.

Durante la prima guerra mondiale, la Sicilia fu la regione italiana con il maggior numero di morti nonostante fosse la più lontana dal “fronte”. Con il fascismo il divario fra la Sicilia e il nord Italia soprattutto nel periodo dell’autarchia aumentò a dismisura perché qui si era obbligati a comprare i prodotti delle industrie del nord Italia ad alti costi, mentre si dovevano cedere a basso prezzo il grano e gli altri prodotti agricoli tipici. Per la verità queste misure discriminatorie, per la Sicilia, erano iniziate fin dai 1860 con le tariffe doganali, ma durante il ventennio fascista si aggravarono.

La seconda guerra mondiale costò ai siciliani bombardamenti e distruzioni, le cui testimonianze sono ancora visibili. Poco prima dello sbarco degli Alleati, nacque e si estese in Sicilia il movimento per l’indipendenza della Sicilia. I principali esponenti furono: Andrea Finocchiaro Aprile, Antonino Varvaro e Attilio Castrogiovanni. Aderirono uomini di cultura, imprenditori, studenti, contadini, lavoratori, reduci di guerra e cittadini di ogni estrazione. Fu un fenomeno improvviso e travolgente, anche se lungamente sognato ed in parte preparato nei decenni precedenti in clandestinità.

La Sicilia, stanca delle sofferenze, delle umiliazioni e delle scelte politico-economiche a favore del nord Italia, rivuole l’indipendenza. II popolo siciliano vorrebbe, anzi, un “plebiscito” sulla propria indipendenza, ma gli Alleati la riconsegnano al governo Italiano. Ci saranno manifestazioni di piazza, morti e feriti. Fu costituito anche I’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia). Primo comandante fu Antonio Canepa che uso’ lo pseudonimo di Mario Turri. Pseudonimo con il quale aveva firmato l’opuscolo “La Sicilia ai Siciliani” e il giornale clandestino “Sicilia Indipendente”.

“Canepa-Turri” fu ucciso il 17 gennaio 1945 a Randazzo. Con lui morirono Carmelo Rosario e Giuseppe Lo Giudice. Il successivo comandante dell’EVIS fu Concetto Gallo (pseudonimo: Secondo Turri). Gallo fu preso prigioniero dopo la battaglia di Monte San Mauro, a Caltagirone, il 30 dicembre 1945. Sommosse con vittime ci furono a Catania, Palermo, Comiso e tanti altri centri piccoli e grandi della Sicilia. Fu una grande lotta popolare.

Il 15 maggio 1946, con decreto legislativo, Umberto II Re d’Italia promulgo’ lo Statuto Speciale Di Autonomia della Regione Siciliana. Era una via di mezzo fra la richiesta di indipendenza e la restaurazione, dello stato centralizzato. Lo Statuto, pero’, ancora oggi, non è applicato integralmente .

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