Precisiamo che il Duomo si chiama anche “Cattedrale” e “Basilica”, per cui nel sito troverete menzionati tutti e tre i i termini.
Il termine Cattedrale è attribuibile al Duomo in quanto vi è la cattedra del Vescovo, cioè il luogo in cui il Vescovo celebra e predica la Parola del Signore, la chiesa principale di una diocesi, l’edificio sacro dove vengono più solennemente celebrate le ricorrenze dell’anno liturgico. Il termine latino cathedra indicava infatti il maestoso sedile destinato ai personaggi di maggior prestigio a incarnare il simbolo dell’autorità stessa.
Il termine Basilica, dal greco (stoà¡) basilikè, “(portico) regio”, viene attribuito ad una chiesa che abbia una delle seguenti caratteristiche: pianta longitudinale con almeno tre navate separate da colonnati e la navata centrale è più alta delle altre, tanto da poter avere finestre proprie; la chiesa è paleocristiana (l’attribuzione del termine basilica per tali chiese è cominciata dal IV secolo); titolo onorifico che viene concesso alle chiese più insigni.
Fin dai tempi più antichi si distinguono le basiliche maggiori e le basiliche minori: sono dette basiliche maggiori o patriarcali le quattro maggiori chiese di Roma: San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Pietro in Vaticano e San Paolo fuori le mura.
La storia del Duomo di Tivoli
Indice dei Contenuti
Una tradizione leggendaria attribuisce la fondazione della cattedrale all’Imperatore Costantino (306-337) il quale dopo l’editto di Milano, convertito al cristianesimo, concesse al culto cristiano le basiliche pagane. Secondo un’altra leggenda, invece, è da assegnare al pontefice tiburtino Simplicio (468-483) il merito di una vasta attività edilizia sacra che portò alla costruzione di varie chiese tiburtine come S.Pietro alla Carità, S.Stefano, S.Silvestro, S.Maria Maggiore e la Cattedrale di S.Lorenzo.
Papa Simplicio, divenuto pontefice sette anni dopo Leone I Magno, continuò l’azione di guida e difesa del gregge di Cristo durante i difficili anni delle invasioni barbariche, delle eresie e delle incomprensioni con le chiese orientali. Sicuramente la prima notizia scritta dell’esistenza della chiesa si ha nella biografia di papa Leone III (791-816), che l’arricchì di doni.
La chiesa fu edificata sopra le rovine dell’antico Foro tiburtino , riutilizzando il sito dell’Aula Romana della quale è stata conservata l’abside, ancora visibile all’esterno della basilica attuale.
Questa zona, inserita dunque nella Regio Foro (come si desume da un documento del 978), è il polo religioso della Tivoli medievale, in prossimità del tratto urbano della via Tiburtina (via San Valerio), in comunicazione diretta con il polo politico (nell’attuale piazza Palatina) e, attraverso la via del Duomo, in comunicazione con il polo commerciale sorto nella piazza dei Selci.
Parecchi secoli dopo, la vecchia basilica fu ricostruita una prima volta fra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo: la chiesa venne completamente ricostruita (tracce del primo edificio si conservano al disotto dell’antica basilica e dietro l’abside), ad essa fu affiancato un massiccio campanile romanico scandito da due bifore per lato e posto presso l’antico arco d’entrata del Foro.
La nuova costruzione si presentava come un’ampia basilica a tre navate con presbiterio sopraelevato dotato di un altare in marmo sormontato da un ciborio a forma di piramide.
Una ben più radicale opera di ricostruzione, nonostante la disapprovazione dei fedeli e di buona parte del clero, fu fatta nel 1635, con la spesa di 50 mila scudi, dal Cardinale milanese Giulio Roma, nominato Vescovo di Tivoli nel 1634.
La nuova chiesa fu portata a termine nell’arco di cinque anni e consacrata il 1 febbraio 1641, anche se la facciata e il portico vennero completati solo nel 1650, due anni prima della morte del Cardinale Roma. La planimetria della chiesa si rifà al prototipo della chiesa del Gesù di Roma, consacrata nel 1584, che fissò la tipologia dell’edificio sacro a navata unica con cappelle laterali.
La zona presbiteriale fu abbassata ed eliminati il coro rettangolare antistante al presbiterio e la vasca battesimale, dietro l’altare maggiore furono inseriti un coro ligneo, gli stalli dei sacerdoti e la cattedra del vescovo.
Dell’antica basilica il cardinale conservò però le opere più pregevoli: in particolare il campanile romanico, alcuni monumenti funebri all’interno della chiesa, come quelli dei vescovi Angelo Lupo e Angelo Leonini.
Nel 1747 venne creata l’apertura del portale laterale in rottura del muro perimetrale sinistro.
I lavori furono sovvenzionati dai canonici della cattedrale. Si iniziò poi ad eseguire la nuova decorazione pittorica che venne portata avanti sotto il Cardinale Roma (Cappella del Salvatore), il Cardinale Marcello Santacroce (Cappella dell’Immacolata), Galeazzo Marescotti e, agli inizi del XIX sec. sotto Papa Pio VII (1800-23) che era stato vescovo di Tivoli dal 1783 al 1784.
San Lorenzo
San Lorenzo è il patrono della città di Tivoli ed a Lui è dedicata la Cattedrale tiburtina in cui riposano alcune sue reliquie. Durante il periodo pre-cristiano a Tivoli veniva venerato il culto di Ercole Vincitore. A partire dal V secolo d.C. iniziò la graduale sostituzione della figura di Ercole Vincitore con quella di Lorenzo, diacono martire nel 258 durante la persecuzione di Valeriano.
Il culto del martire sicuramente nasce dal ricordo delle visite ispettive di controllo amministrativo sui beni posseduti dalla Chiesa Romana che questo diacono era solito fare nei territori di Tivoli. Valeriano (253 – 260 d.C.), durante la persecuzione contro i cristiani, fece arrestare Papa Sisto II, i presbiteri e i diaconi della Chiesa romana, tra cui Lorenzo; essi furono messi a morte per ordine del prefetto di Roma Cornelio Secolare tra il 6 ed il 10 agosto 258.
Il diacono Lorenzo, secondo la tradizione leggendaria, era oriundo della Spagna (ed anche Ercole secondo il mito era venuto dalla Spagna in Italia), ma secondo altra tradizione fu civis romanus e certamente salì alle mansioni diaconali per le sue doti non comuni di capacità amministrative. Infiammato dall’amore per il prossimo spese per i poveri tutti i tesori raccolti vendendoli: li aveva venduti. Quando quei beni gli furono richiesti, portò tutti i poveri e gli ammalati della città dal Prefetto dell’Urbe e disse: “Ecco i tesori eterni che non diminuiscono mai e fruttano sempre, sparsi in tutti e dappertutto”.
La Chiesa di Tibur dovette quindi ospitare Lorenzo durante i suoi giri ispettivi, perché presso le comunità cristiane primitive vigeva l’usanza di fornire alloggio, vitto ed assistenza ai fedeli ed al clero di passaggio, e tanto più ad un personaggio investito di tale autorità. La data del martirio è storicamente certa. Il Santo fu martorizzato il 10 agosto del 258 perché si era rifiutato di consegnare al Prefetto di Roma i tesori della Chiesa a lui affidati in qualità di primo diacono.
Naturalmente il Prefetto non gradì e condannò Lorenzo ad una morte crudele: il santo fu posto su una griglia di ferro sotto cui un fuoco lento, ma inesorabile, consumò le sue carni poco a poco.
Si dice che egli non sentisse quelle fiamme, pervaso com’era dall’amore di Dio, tanto che, a un certo punto, disse al giudice: “Giratemi, da questa parte sono arrostito” e poco prima di morire aggiunse: “Sono cotto a puntino, ora”.Col tempo, si è voluto legare a questo santo e alla sua leggenda popolare un fenomeno, quello delle stelle cadenti, che, a causa della rotazione della terra, finisce per ripresentarsi ogni anno con una certa periodicità (tra le altre date, oltre il 10 agosto, anche il 12 settembre e il 27 novembre). Si dice che le stelle cadenti siano le sue lacrime.
L’interno della Cattedrale
Di stile barocco, la facciata presenta un portico a tre fornici. La pianta è a navata unica con cappelle laterali comunicanti tra loro, in una delle quali è contenuto il gruppo duecentesco della Deposizione, capolavoro ligneo di rara bellezza, significativa testimonianza della scultura medievale.
Fa parte del patrimonio artistico della chiesa anche il Trittico del Salvatore, pregevole pittura su tavola del XII secolo, opera attribuita ai monaci benedettini di Farfa.
Il Vescovo di Tivoli:
S.E. Rev.ma
Mons. Giovanni Paolo Benotto
Nato il: 23-09-1949
Ordinato Sacerdote il: 18-06-1973
Nel 1973 fu chiamato da Sua Ecc. Mons. Benvenuto Matteucci quale sua segretario particolare e gli affido anche l’incarico di notaio del Tribunale Arcivescovile. Nel 1980 fu chiamato a reggere come Priore la Parrocchia di San. Michele Arcangelo in Oratorio nel piano di Pisa. Successivamente fu nominato Direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano.
Per la sua competenza nel settore liturgico gli fu conferito l’incarico di insegnare Teologia Liturgica al seminario Arcivescovile di Pisa. Fece parte della Commissione Liturgica Regionale. Nel 1993 Sua Ecc. Mons. Alessandro Plotti lo ha nominato Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Pisa e canonico della Cattedrale pisana. Il 5 Luglio 2003 Sua Santità Giovanni Paolo II lo ha nominato Vescovo di Tivoli.
Ordinato Vescovo nella Chiesa Primaziale di Pisa il 7 Settembre 2003 da Sua Ecc. Mons. Alessandro Plotti, arcivescovo di Pisa, Sua Ecc. Mons. Paolo Romeo, Nunzio Apostolico in Italia, Mons. Pietro Garlato, Vescovo Emerito di Tivoli. Insediatosi in Tivoli il 4 Ottobre 2003.
La cappella musicale
Una tradizione abbastanza diffusa sostiene la presenza del cristianesimo in Tivoli sin dall’epoca apostolica. La presenza di comunità cristiane nei dintorni di Roma sin dalla prima metà del II secolo è attestata da Erma ne Il Pastore. In questo secolo nel territorio tiburtino si registrano numerose testimonianze di martiri (Getulio, Sinforosa e i sette figli sono i più noti: il loro martirio è collocato dagli studiosi tra il 136 e il 138 d. C) e diverse iscrizioni.
Dunque, benché la prima notizia di un vescovo tiburtino, Paolo, risalga all’anno 366, è indubbio che la presenza cristiana in Tibur sia precedente. La primitiva chiesa cattedrale venne edificata su parte di quello che doveva essere il Foro Tiburtino, forse sulle fondamenta di un piccolo tempio dedicato ad Ercole, oppure al posto di una basilica civile. La Basilica Beati Laurentii martyris sita infra ciuitatem tiburtinam, ossia la chiesa medievale, esisteva già al tempo di Leone III (795-816).
La chiesa attuale, ampliata e ristrutturata dal card. Giulio Roma, fu inaugurata il 1 febbraio 1641; il portico e la facciata vennero completati nel 1650.
Intorno alla cattedrale operava un folto gruppo di persone che comprendeva sacerdoti, chierici, cappellani, cantori e inservienti vari guidati inizialmente da un Arcidiacono al quale, verso la fine del cinquecento, il vescovo Domenico Tosco aggiunse un Arciprete, un Decano e un Prevosto.
Vi erano poi una dozzina di canonici che, dopo l’aggregazione delle collegiate di S. Pietro e di S. Paolo da parte del cardinal Roma, divennero ventidue: essi svolgevano mansioni diverse a rotazione, come ad esempio tenere l’amministrazione dei beni (camerlengo, sacrestano maggiore), badare alla manutenzione dell’edificio (praefectusfabricae) oppure essere «delegatosopra la musica» (praefectusmusicae). Infine vi erano dodici beneficiati e i chierici del seminario vescovile impiegati in diversi ruoli e mansioni tra cui quella del canto.Il capitolo della cattedrale gestiva un cospicuo patrimonio, consistente soprattutto in terreni, con il quale manteneva l’edificio, il culto e tutte le attività connesse, compresa la musica.
L’Archivio Capitolare Musicale
La prima notizia circa la costituzione di un Archivio Musicale si trova nella richiesta avanzata dal canonico Celestino della Vecchia, in qualità di praefectus musicae, nella riunione capitolare del 16 aprile 1852. All’epoca l’archivio, a parte i libri corali, doveva essere molto modesto perché le composizioni manoscritte dei maestri dei secoli precedenti spesso seguivano i rispettivi autori: raramente il capitolo deliberava di acquistare la musica dei maestri di cappella e l’unico esempio documentato è quello relativo alle opere di Giuseppe Leoni, che per questo è l’unico maestro presente con una cospicua quantità di manoscritti. Sporadiche composizioni di altri maestri della cappella sono probabilmente da ritenere un lascito dell’autore oppure una presenza fortuita.
Una catalogazione del fondo venne effettuata dalle dott.sse Luisanna Stefani e Mara Mari nel 1987 ed è stata di notevole aiuto nella realizzazione del nuovo inventario. Ai 432 manoscritti della prima catalogazione se ne devono aggiungere altri 271 e alcuni libri liturgici sfuggiti alle studiose probabilmente a causa della confusione che regnava nell’Archivio Capitolare fino a non molto tempo fa.
L’archivio comprende 703 manoscritti (680 originali + 23 copie); a questi si devono aggiungere un gruppo di fogli sparsi appartenuti a manoscritti perduti e un gruppo di fogli scritti parzialmente. Le edizioni antiche sono 16 delle quali 12 libri liturgici in canto piano e 4 libri corali in polifonia. La dotazione dell’Archivio è completata da 23 spartiti e edizioni varie contenenti opere di autori del secolo XIX e alcune trascrizioni di autori della scuola romana del Cinque-Settecento.
Oltre la metà dei manoscritti (363 su 703) e alcune edizioni dell’Ottocento (5 su 23) venne acquisita grazie al lascito testamentario (4 maggio 1900) del canonico tiburtino don Stanislao Potini, cantore e musicofilo.I manoscritti del secolo XVIII sono quasi tutti autografi di Giuseppe Leoni (75 su 104); una decina sono autografi di Luigi Vergelli: di questi quelli anonimi dovrebbero essere opere del Vergelli stesso. Grazie ai contatti del Potini con l’ambiente musicale romano, l’archivio tiburtino si è arricchito di una cospicua parte di opere di autori romani del Sette-Ottocento tra i quali figurano P. Terziani (148 manoscritti), G. Aldega (35), G. Capocci (19), S. Battaglia (11), N. Rosati (15) e altri. I rimanenti manoscritti dell’Ottocento sono per la maggior parte autografi degli eredi di Luigi Vergelli e dovrebbero contenere loro opere.
La qualità delle composizioni contenute nei manoscritti, la loro complessità e organico vocale/strumentale denotano la vivace attività che caratterizzò la cappella musicale del Duomo di Tivoli tra il XVIII e il XIX secolo, in un periodo in cui tuttavia già cominciavano a presentarsi i segni della decadenza. Purtroppo rimangono pochissime testimonianze dell’attività dei secoli XVI-XVII: esse sono fornite dai libri corali in polifonia superstiti: due di Tomàs Luis de Victoria e due di GiovanniPierluigi da Palestrina. Degli altri libri in possesso della Cappella – opere di autori come Felice Anerio, Ruggero Giovannelli, Andrea Dragoni e Jean Matelart – non rimane oggi alcuna traccia.
Il Cinquecento
Le notizie più antiche sulla cappella musicale nel duomo tiburtino risalgono al 1539. Purtroppo si tratta di notizie molto frammentarie. Il 4 luglio 1540 il capitolo deliberò di «accipire in ca(n)tore(m) p(ro) an(n)u(m) magistru(m) bartholomeu(m) gallu(m) p(ro) p(re)tio ducatoru(m) dece(m)…». Un altro cantore di quest’anno era Prospero Forano da Scandriglia, rettore della chiesa di S. Stefano. Nell’anno 1542-43 (1 novembre-31 ottobre) l’incarico di responsabile della cappella musicale venne affidato ad un basso operante nella vicina chiesa di «S.ti petry maioris», mentre altri cantori risultano essere il succitato Prospero, Giovanni Paolo Valle e un certo Martino.
Altri cantori alla guida della cappella musicale furono: don Stefano Gallo (1544-45); Prospero Forano da Scandriglia (1546-47); Petru(s) Gallu(s) (1547-49); don Mutio (1550-51), forse supplente; ancora Prospero Forano (1551-53); Nicolau(s) Gallu(s) (1553-54). In questo periodo furono attivi nella cappella alcuni musici tiburtini che oltrepassarono i confini locali: Giuliano Bonaugurio, più noto con l’appellativo di Giuliano Tiburtino; Francesco Golia (1507-1585), chiamato dai contemporanei Trismagister in quanto musicista, pittore e orafo; e Giuliano Riti, cantore pontificio nella prima metà del cinquecento. Probabilmente fu putto cantore nel Duomo anche Giovanni Maria Nanino (1544 ca.-1607) .
Dal 1562 al 1586 il responsabile della cappella musicale fu il basso Nicola Petrucci di Paliano. In questo periodo la cappella era composta dai seguenti musici: Belardino Racciacaro, basso; Giovanni, basso (?); Gio: Domenico Ciantella, tenore; Gio: Battista da Marano, tenore; Prospero forano da Scandriglia; Hieronimo (?) e Brunum de Signa sacristam. Numerosi i fanciulli che compaiono in momenti successivi: Gio: Battista, figlio di Valentino, Bartolomeo, figlio di Maria Gentili, Curtio, Jiulio, Meo figlio di Tommaso d(e) Ferrariis, Gio: Paolo, figliodi Simone, Jacobo. Una serie di raffronti potrebbe identificare Julio soprano nel famoso Giulio Caccini, romano, vissuto a lungo in Tivoli dove sembra che il padre abbia lavorato come artigiano nella villa estense.In questi anni non è improbabile che Giovanni Pierluigi da Palestrina, direttore della cappella musicale del cardinale Ippolito II d’Este presso la villa di Tivoli tra il 1564 e il 1571, abbia in qualche occasione partecipato a liturgie o consigliato i suoi colleghi della vicina cappella musicale del Duomo. Altri cantori durante il magistero di Cola da Paliano furono: Marcello soprano e un cantore eunuco, Domenico (de Sebastianis) sacrista, presente almeno fino al 1592, Gio: Domenico soprano (1576-77), Domenico Sabba e Andrea soprano (1578). Domenico Ciantella fu per diversi anni «chorista et puerorum magistro».
Del decennio successivo fino al 31 ottobre 1589 rimangono pochissime tracce. Qualche notizia relativa a questo periodo la possiamo desumere dai libri delle Risoluzioni Capitolari. Nella riunione capitolare del 7 gennaio 1582 venne presentata la richiesta di accettare come chierici alcuni pueri: i canonici acconsentirono ed elessero «Benedictu, Evangelista, Placidum et filium Ascesij Bone monete»; questi avrebbero dovuto «quotidiano cantu musicalis cappellae intervenire ta(m) in missa qua(m) in uesperis canendi».
In questi anni il nuovo maestro dei fanciulli era «D. Jacobus Hispanus eunuchus» che riceveva uno stipendio di ben 40 scudi annui. Egli è probabilmente da identificare con Jacomo Spagnoletto, eunuco, assunto nel 1588 nella cappella pontificia.Come appare dai registri analizzati non figura mai la carica di organista che evidentemente era curata dallo stesso cantore che guidava la cappella.
Il primo nome che troviamo indicato con il titolo specifico di maestro di cappella è quello di EnricoBeoper assunto il primo novembre 1589. Nell’aprile dello stesso anno si era proposto come organista e manutentore dello strumento BartolomeoRigetti, anche lui assunto nello stesso mese di novembre. Fu organista titolare fino al 1592 sebbene mancò da Tivoli per diversi periodi, e fu sostituito dal Beoper. Nel 1591 il Beoper venne a sua volta sostituito temporaneamente dal canonico Tommaso Bardi, basso della cappella e parroco nella chiesa di S. Croce .Gli altri cantori di questi anni erano Gio: Domenico Sebastiani, Mutio (che lasciò la cappella verso la metà di agosto 1591), Cristoforo Rumorio, Vincenzo Tomei, Tommaso Bardi, Gio: Maria, Gioseppe d(e) Cesari, Giovanni figlio di Virginio, Martio figlio di Mico e Maurizio, soprani. Dopo il 1596 compaiono Giacomo Fabrica, cantore attivo in seguito anche in Roma, Antonio soprano figlio di Matteo Quagliolini, Tomassino Paluccio soprano,Gio: Domenico di Lucia e Gio: Marco Matarano cantore (forse eunuco).Il secolo XVI si chiuse con «l’alegrezza fatta p(er) la p(ro)motione al Cardinalato d(el)l’Ill.mo Sig. Cardinale Tosco n.ro Ves.uo d(i) Tiuoli». Domenico Tosco era stato creato vescovo di Tivoli il 10 maggio 1595 e pochi mesi dopo il papa Clemente VIII lo aveva eletto Governatore di Roma. Il 3 marzo 1599 venne creato cardinale con il titolo di S. Pietro in Montorio. Per questa occasione il capitolo tiburtino, il 7 marzo successivo, preparò uno spettacolo pirotecnico sul campanile durante il quale si esibirono anche i cantori della cappella. In quella occasione i canonici acquistarono del «uino p(er) dare da beuere alli ca(n)tori che fecero musica in d.to ca(m)panile». L’8 marzo il camerlengo e l’arcidiacono si recarono a Roma per salutare il cardinale novello e condussero con loro i cantori Cristoforo e Giovanni Marco rimanendovi per quattro giorni.
Cappella del Crocefisso
Prima cappella a destra, secolo XIX
La prima cappella a destra della cattedrale di S.Lorenzo è dedicata al Crocefisso. Secondo il Vendittelli, sulla base degli antichi documenti e narrazioni storiche, questo titolo non apparteneva all’antica cattedrale ed è stato quindi istituito nella nuova cattedrale ricostruita a partire dal 1635.
In origine in questa cappella era stata collocata la Deposizione lignea, che era stata trasportata dalla Chiesa di S.Pietro alla Carità, per volere del Cardinal Giulio Roma, nella cattedrale ristrutturata di S.Lorenzo. Il gruppo era custodito, come ricorda il Crocchiante, dentro un recinto di cristalli e di tele scoperto solo in occasione delle feste più solenni. In seguito esso fu spostato nella quarta ed ultima cappella sulla destra.
La cappella consta di un vano quadrangolare coperto da una volta a crociera. La zona dell’altare, in marmi policromi e timpano triangolare su pilastri in marmo scuro venato, è chiusa da una balaustra in marmo policromo.
L’altare della Cappella, così come l’altare ed i dipinti laterali della Cappella di S.Lorenzo, si deve al Cardinal Marescotti.
Nella cappella del Crocifisso dal 1990 è stato ricollocato un pregevole dipinto di Alessandro Casolari, restaurato dalla Soprintendenza BAS di Roma. In esso è raffigurata la Pietà con S.Andrea e S.Nicolò. Sulla parete d’altare è collocato un Crocefisso ligneo.